“Non c’è presa di coscienza senza sofferenza.
In tutto il mondo la gente arriva ai limiti dell’assurdo per evitare di confrontarsi con la propria anima.
Non si raggiunge l’illuminazione immaginando figure di luce, ma portando alla coscienza l’oscurità interiore.
Chi guarda fuori sogna, chi guarda dentro si sveglia.” (C. G. Jung)
In questo ultimo anno, così complesso, ci è capitato di confrontarci più a lungo e più approfonditamente del solito, complice l’isolamento forzato, con noi stessi. Chiusi nelle nostre case, privati, per la maggior parte del tempo, del contatto sociale e delle consuete distrazioni, ci siamo ritrovati faccia a faccia con le nostre risorse, con la voglia di andare avanti, con le speranze ma anche, inevitabilmente, con le nostre ombre e le nostre difficoltà.
La frustrazione per progetti annullati o bloccati, la paura che a tratti si riaffaccia, l’incertezza sul futuro di questo momento possono aver riattivato in noi stati d’animo faticosi: depressione, ansia, rabbia, invidia, apatia. Possiamo chiamarli “mostri”?
La parola mostro in effetti, dal latino monstrum, indicava originariamente qualcosa di prodigioso, che va oltre l’ordinario, sia in senso positivo che negativo. Gradualmente il termine ha assunto, nell’uso comune, il significato di qualcosa di spaventoso, tendenzialmente orrido.
Come arteterapeute utilizziamo abitualmente le immagini come strumento di indagine su noi stesse. Lo abbiamo fatto durante tutto l’ultimo anno, cercando aperture nella clausura, prospettive nell’incertezza, conforto e strumenti operativi nella difficoltà. Nell’ultimissimo periodo è emersa perentoriamente la necessità di rappresentare in modo simile anche le nostre ombre. Ci siamo così trovate faccia a faccia con i nostri mostri.
(continua nel link. Monstrum)